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Un racconto di Melania Mazzucco

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La mia vita si è fermata alle 21,03. Quando il cuore del signor Corsini ha cessato di battere, anche il mio si è fermato. Ho vissuto quasi sessant'anni nel taschino sotto il suo cuore, e quando a un tratto al mio ticchettio il suo non ha risposto lo smarrimento è stato così pro-fondo che mi sono sentito mancare. Sarebbe bastato ricaricarmi, e mi sarei ripreso. Ero ancora robusto e forte. Negli ultimi anni la concorrenza si era fatta spietata. Tipi più giovani e veloci avevano già tentato di sostituirmi, ma il signor Corsini non li degnava di un'occhiata. «Papà - gli dicevano i figli - non va più di moda, e poi è sempre in ritardo». Ma lui diceva di non avere più fretta. Ero stato un regalo di fidanzamento. Nella cassa la futura moglie del signor Corsini aveva fatto incidere il motto: semper. In realtà loro si erano sepa-rati dopo qualche tempo, noi due invece abbiamo vissuto all'unisono. La figlia aveva detto all'impiegato delle pompe funebri di chiudermi nella cassa, con lui. Ma quando è rimasto solo con noi, il figlio mi ha sfilato dal taschino e mi ha portato via. «Quanto vale?», ha chie-sto alla moglie. «Guarda - ha esclamato quella, - segna l'ora in cui è morto il vecchio». «Che strano - si è stupito il figlio - come fa a essersene accorto?». «Comunque non vale molto - ha commentato la moglie - non è d'oro, solo argento».
Così non ho potuto seguire il signor Corsini. Mi hanno chiuso in una scatola, in mezzo ad altre cose inutili - un paio di occhiali, un passaporto, una retina per capelli, un fascio di cartoline ingiallite - e si sono dimenticati di me. Sono rimasto non so quanto tempo seppel-lito là dentro. Il figlio e la nuora del signor Corsini sono morti, e poi anche i loro figli. Ho traslocato tante volte, senza mai uscire dalla scatola. Sono passati tanti anni. Ma il mio cuore fermo non li ha contati. Alla fine ero prigioniero in una cantina - un posto freddo, u-mido e triste. Le cartoline ormai ammuffite, la retina mangiata dai topi. Mi hanno liberato per sbaglio. Un giorno nella cantina si sono intrufolati dei ladri. Parlavano una lingua che non conosco. Hanno squarciato gli scatoloni e buttato tutto all'aria. Mi sono ritrovato una torcia puntata in faccia e uno dei ladri mi ha preso in mano. Così me ne sono andato. Ma l'uomo che mi ha portato via non ha potuto tenermi. Anzi, quando mi hanno visto gli altri hanno cominciato a urlare. È perché sono d'argento. Il signor Corsini diceva che l'argento è nobile e splendente, ma quegli uomini credono che porti sfortuna. Così lo hanno costretto ad abbandonarmi. Dispiaciuto, il mio liberatore mi ha deposto su una panchina, gentilmen-te, ed è sparito.
Ero in un viale, in una città, tutt'intorno un fragore indescrivibile. Oggetti a quattro ruote, mai visti, mi sfrecciavano davanti, facendomi sobbalzare. Quei sobbalzi, lo spavento, la meraviglia: fatto sta che lentamente il mio cuore ha cominciato a scricchiolare. Ansimavo, emettevo un leggero sibilo. Mi ha raccolto una ragazza che spazzava il marciapiede davanti al locale. Adesso so che si dice "bar", e che lei fa la barista. Mi ha preso in mano, e por-tandomi all'orecchio mi ha sentito. Per spolverarmi mi ha alitato sul vetro e così l'ho vista da vicino: era bellissima. Poi mi ha aperto. «Semper - ha sillabato - magari esistesse qual-cosa che dura per sempre». Segnavo
le 21,14. Lei ha fatto scattare il gancio della catenella e mi ha appeso sul suo cuore. E il mio cuore antico non ha retto tanta felicità. Adesso che sono morto, vivo invidiato da tutti nel posto più confortevole del mondo: al collo di lei, fra i suoi seni. Posso dormire. Ho rag-giunto l'ora eterna. Non devo andare da nessuna parte. Segno le 21,14, l'ora sempre felice. Semper.

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